Alessandro Bergonzoni

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Zius

1997
Di e con Alessandro Bergonzoni
Regia: Claudio Calabrò
Scene: Mauro Bellei
Ufficio Stampa: Riccardo Rodolfi
Organizzazione e distribuzione: Progetti Dadaumpa
Assistenza tecnica: Tema Service
Produzione: I Piccioni di Piazza Maggiore
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Zius, ovvero lo zio e i nipoti gemelli, tre, di cui due uguali, anzi simili, perchè diversi lo sono, ma sembrano due gocce della stessa acqua, più una goccia, gemella, formata da due gocce gemelle, un’unica goccia di due gocce mischiate...
E’ il tema del doppio, dell’altra faccia della stessa luna, che di facce ne ha sicuramente di più, tante che non si tratta di realtà bensì dell’infinito satellite che gli vola intorno, che gira, gira e quindi giù, giù in profondità a capirne il senso, e poi sù, sù sempre più in lato ad inventarne altri, altri mondi, altre facce, altri pianeti. Ma allora, come potrebbe esistere il doppio di ciò che non esiste?
Che l’opposto del bianco sia il nero vale solo dove il bianco è bianco, non sul pianeta delle illusioni. Lassù (o laggiù) sopra il reale è tutto più complicato e si muove così in fretta da togliere il respiro, per cui se prendiamo un bianco-non bianco e troviamo il suo nero-non- nero non aspettiamoci certo che sia finita così.
Il Capitano Bergonzoni augura buon viaggio e tanta vertigine.

Claudio Calabrò

 

Poniamo che nel suo nuovo spettacolo Alessandro Bergonzoni entri in uno spazio dove tutto, compresi i suoi personaggi, si specchi in un gioco di riflessi meticolosi ed anche micidiali. Dove l’unità di misura è sempre raddoppiata da inevitabili rifrazioni. Dove una coppia di gemelli, già geneticamente doppi, sono contemporaneamente uno la metà dell’altro con in più qualcosa che appartiene ad un ulteriore doppio (forse un ennesimo gemello?).
Ora cosa si potrà mai scatenare da una situazione come questa inserita anche in un impianto scenico panottico ideato da Mauro Bellei? Semplice, un luogo mentale-teatrale dove Jean lascia il posto a Jean Jean che però evoca Jean per Jean andando ad intersecarsi in una continuità che potrebbe essere doppia ma che invece rimane, almeno questa, rigidamente singola.
Bergonzoni, quindi, al centro preciso di una matassa comica da dipanare ma con una difficoltà specifica: ci sono due capi, o un loro multiplo, da seguire prima di arrivare in fondo. Ci vuole una precisa tecnica di paziente e certosino smontaggio per non intrecciare i fili o, meglio, per intrecciarli senza rendere vano l’obiettivo finale e per sottrarre tutte le curve da una tortuosa strada rendendola alla fine rettilinea. Bisogna ricorrere a tutte le risorse possibili ed immaginabili, anche a quelle inimmaginabili, e forse spirituali, per riuscire nell’impresa. Ci vuole tutta la scaltrezza possibile per non scambiare le aberrazioni ottiche tipiche dei miraggi in qualcosa di solido e reale che, se preso come tale, può risultare fatale.
Claudio Calabrò stavolta si trova a dirigere un Bergonzoni che non è detto sia lo stesso personaggio se visto da angolazioni differenti; il lato destro può infatti rivelarsi molto diverso da quello sinistro, così come la schiena può non appartenere alla stessa persona che un attimo prima avevamo visto di fronte. Si tratta quindi di un concreto esperimento di “doppelganger” portato alle estreme conseguenze comiche senza prendere le scorciatoie degli equivoci.
E il pubblico alla fine sarà numericamente reale o si rivelerà piuttosto solo un riflesso ripetuto all’infinito di un’unica persona posta in mezzo a due specchi?
In definitiva, però, in “Zius” di specchi non ne compaiono

 

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